Onorevoli Colleghi! - Con riguardo ai sistemi elettorali, la grande attenzione del legislatore si è riversata sul modello elettorale vero e proprio (la traduzione in seggi del voto degli elettori), trascurando spesso la normativa, definita infatti «di contorno», con riguardo alle candidature e allo status degli eletti. Tale legislazione, al contrario, svolge un ruolo importante tra le componenti del sistema politico italiano e, in alcuni casi, giunge a determinarne gli aspetti fondamentali.
      Anche le cause ostative all'elezione sono state talvolta considerate un elemento tutto sommato marginale del sistema, fino alle polemiche che hanno coinvolto l'ingresso al Parlamento e al Governo di un grande imprenditore della comunicazione: ciò ha fatto emergere, da un lato, la centralità degli istituti della incandidabilità, ineleggibilità e incompatibilità all'interno delle dinamiche elettorali e, dall'altro lato, la lacuna legislativa del nostro ordinamento.
      L'ineleggibilità e l'incompatibilità sono istituti tradizionali, mentre l'incandidabilità, più recente, ha visto la luce per la prima volta nel nostro ordinamento nel 1990.
      Va detto che i due istituti, della ineleggibilità e della incompatibilità, non sono affatto sicuri ostacoli a elezioni illegittime o a illegittime permanenze nella carica.
      È possibile, inoltre, e nel nostro Paese lo è stato in diverse occasioni, che il legislatore intervenga successivamente a riscrivere le regole, consentendo, per sanare situazioni, ciò che poco prima era illegittimo. A ciò si affianca, nel caso degli eletti in Parlamento, la giurisdizione domestica

 

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che, nel corso del tempo, ha reso possibile il consolidamento di interpretazioni delle norme che non avrebbero avuto possibilità di essere accettate da un giudice ordinario.
      Tra l'altro, l'ineleggibilità «non inficia né la candidatura dell'interessato né correlativamente l'ammissione della lista» (tribunale amministrativo regionale del Lazio, Roma, settembre 2005, sentenza n. 6608). L'unica ipotesi per assicurare il rispetto delle regole sembrerebbe l'incandidabilità, in quanto solo in questo caso l'ufficio elettorale potrebbe giudicare sull'ammissione delle liste o del soggetto. Tale istituto, finora, è stato previsto solo con riguardo agli enti territoriali (articolo 58 del testo unico delle leggi sull'ordinamento degli enti locali, di cui al decreto legislativo n. 267 del 2000) e con riferimento al compimento di reati di particolare gravità o a situazioni di allarme sociale, attraverso valutazioni di ordine morale e situazioni di indegnità (salva l'ipotesi di incandidabilità in due regioni, di ordine politico).
      Occorre anche tenere conto dell'orientamento della Corte costituzionale (sentenze n. 141 del 1996 e n. 206 del 1999) secondo la quale, pur «nella discrezionalità del legislatore», le limitazioni al diritto sancito dall'articolo 51 della Costituzione di poter concorrere all'elezione delle cariche pubbliche devono essere «proporzionali e ragionevoli».
      È possibile affrontare oggi una riscrittura delle cause ostative all'elezione, senza limitarsi a una semplice rilettura o rivisitazione. È difficile, oggi, anche accettare che le cause di incandidabilità che hanno a fondamento valutazioni negative, in particolare di indegnità, non riguardino il Parlamento, ma solo le elezioni degli enti territoriali. Ciò determina un grande sconcerto nell'opinione pubblica, contribuisce al distacco dalla politica e mina alla radice il rapporto di fiducia tra rappresentanti e rappresentati, pilastro delle società democratiche.
      Non si tratta solo della «questione morale», ma piuttosto dell'adozione di un insieme di regole di deontologia democratica, che garantisca, intanto, la parità fra i candidati nel momento più alto della vita democratica, ovvero l'espressione del voto, e affronti il nodo della rappresentanza politica nel suo rapporto con il mondo economico-finanziario, già delineato nel testo unico delle leggi recanti norme per la elezione della Camera dei deputati, di cui al decreto del Presidente della Repubblica n. 361 del 1957, aggiornandolo alle dinamiche e agli assetti dell'oggi.
      A tali fini intendiamo corrispondere con la presente proposta di legge, che introduce diverse cause ostative alla candidatura per le elezioni della Camera dei deputati e una definizione più congrua delle cause di ineleggibilità derivanti dall'essere titolare o rappresentante legale di una società operante in regime di concessione o di autorizzazione da parte dello Stato, che nel citato testo unico di cui al decreto del Presidente della Repubblica n. 361 del 1957 e nelle sue interpretazioni successive appaiono appiattite sul dato letterale.
      Riteniamo che l'impostazione adottata sia coerente con il diritto di proprietà e di iniziativa economica costituzionalmente garantito, con il diritto di cui all'articolo 51 della Costituzione e con la salvaguardia delle regole della democrazia, in primis quella della libera formazione della volontà degli elettori.
 

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